Milan l’è un grand Milan

Ho 30 anni e sono a Milano dal 2002, me ne sono andato dalla mia terra, la Sardegna, a poco meno di 19 anni, per studiare, dopodiché mi ci sono fermato.

Per molti anni Milano non è stata accogliente, ma con un po’ di pazienza e tanta voglia di superare le difficoltà, mi ci sono adattato e ora mi sento un po’ parte di questa città che vorrebbe (dovrebbe?) essere una città dal respiro europeo e forse, dopotutto, già lo è.

Milano è stata per anni la capitale degli affari, una porta verso l’Europa e Capoluogo della Regione più ricca e prospera d’Italia. Non senza una punta d’orgoglio leggo spesso in giro che la Lombardia non ha nulla da invidiare alla Baviera, in termini di ricchezza prodotta e capacità di fare impresa. Eppure, Milano è una città vecchia, specchio di una Nazione che caccia i suoi talenti (e, a dire il vero, anche quelli che proprio talenti di prima grandezza non sono) e che perde in maniera preoccupante la sua capacità di rinnovarsi e di innovare.

La politica, come sempre, dovrebbe occuparsi del problema. Come far sì che Milano diventi una città attrattiva nel mondo? Come far sì che un trentenne decida, volontariamente e non perché costretto, di andare a vivere a Milano? Se si chiede ad un ragazzo italiano (lo dico meglio, nel campione rappresentato dalle mie conoscenze; sempre meglio non generalizzare) dove si immagina una vita prospera e felice, Milano non è nelle prime 5 città nominate.

Ragionevolmente Londra sarebbe al primo posto, seguita a rotazione da Parigi, Berlino, New York, San Francisco. Qualche anno fa Madrid e Barcellona attiravano orde di italiani, richiamati dalla movida e dalla possibilità di trovare un lavoro pagato dignitosamente. Ma Milano difficilmente veniva considerata un luogo dove fermarsi. Eppure, per decenni, Milano è stata considerata la capitale della moda e del design con una cintura suburbana profondamente laboriosa e operaia.

Un giorno, una persona a me molto cara, mi ha detto che le città vive, sono quelle in mano ai giovani; ora, non vorrei fare una crociata giovanilistica, visto che già è molto in voga, ma credo che, con alcune spiegazioni, questa affermazione sia profondamente vera.

Un primo aspetto che tengo a sottolineare è che, nel tempo dell’economia della conoscenza, è ragionevole supporre che la città dovrebbe attrarre i migliori talenti nel campo dei servizi avanzati che, quindi, richiedono studi avanzati e competenze di un certo tipo. Ma queste competenze, quand’anche ci sono, in Italia non vengono valorizzate. Per fare un esempio, una persona con una laurea specialistica in università anche prestigiose, a trent’anni è considerato poco più che un ragazzino, mentre magari ha un’esperienza pluriennale in campi anche piuttosto complessi. Con queste premesse è difficile che chi è ambizioso si sforzi di restare a meno che non decida di rischiare in un’impresa, ma non tutti sono e possono essere imprenditori.

Un secondo aspetto è legato ai servizi accessori che la città può offrire. Persone con alta formazione richiedono servizi di svago avanzati come cinema, teatri, mostre, luoghi di aggregazione, ma pure servizi alla persona di livello adeguato come asili, scuole dell’infanzia, assistenza sanitaria di prim’ordine e, possibilmente, con liste d’attesa limitate. Tutti servizi che, ovviamente, costano cari, ma che possono essere offerti con le adeguate economie di scala oltre che con un’attenta analisi dei bisogni. Se dal punto di vista dei servizi di svago Milano ha sicuramente una buona base (si potrebbe fare qualcosa, forse, per rivitalizzare i parchi e renderli un vero punto di ritrovo cittadino per esempio), sui servizi alla persona, il lavoro è lungo. Bisogna cominciare a considerare gli asili nido e le scuole dell’infanzia non come un lusso per ricchi, ma come una necessità per la classe media che non può permettersi di perdere una fonte di reddito per accudire il bambino (oltre al fatto che gli asili e le scuole materne stimolano la capacità di relazione del bambino, ma questo è secondario).

Un terzo aspetto che vorrei sottolineare è legato alla bellezza. Milano è una vecchia signora che custodisce gelosamente i suoi segreti, mentre il suo centro storico non ha nulla da invidiare a tante città nel mondo. Certo, non ci saranno i Fori Imperiali, ma l’area che va da Piazza San Babila fino a Brera è di una bellezza mozzafiato. L’area dei Navigli, se adeguatamente curata può rappresentare un altro polo della bellezza cittadina. E i parchi, da valorizzare e far vivere. E le aree universitarie, come la meravigliosa Università Statale di Via Festa del Perdono o l’area di Città Studi, con quell’enorme Piazza Leonardo da Vinci, il quartiere Isola o il Cenacolo e la Pietà Rondanini o la piccola perla di Santa Maria presso San Satiro, a due passi dal Duomo, solo per fare qualche esempio. Compito di un’amministrazione che volesse attirare turisti, lavoratori, ricchezza, dovrebbe essere quello di valorizzare le bellezze e far vivere la città; evitare che lavorino solo le aree della “movida” e con un solo modello di business che è quello della musica ad alto volume con i drink (in bicchieri di plastica, perché boh…).

Credo che si dovrebbero rivitalizzare le piazze, con artisti di strada, mostre, bancarelle, musica di strada e non necessariamente concerti a pagamento. Credo, insomma, che si dovrebbe sviluppare il concetto di “cultura diffusa”, anche tentando di promuovere la storia di Milano, hub italiano dei traffici transalpini (come mi ha spiegato un amico architetto e grande amante della montagna), medaglia d’oro della Resistenza, laboratorio economico e crogiuolo di facce.

Per fare un paragone azzardato, mi piace l’idea di Milano come la “New York italiana”. Una città che non ha paura di reinventarsi, rinnovarsi profondamente, che non ha paura del diverso e dell’altro da se, ma dove le culture convivono in armonia perché tanto, alla fine, l’obiettivo di tutti noi è uno soltanto ed è sempre lo stesso: sbarcare il lunario, in maniera più semplice e divertente possibile.

Ecco, io credo che ognuno di questi tasselli possa rendere Milano attraente per chiunque e aiutare questa città a risvegliarsi e diventare nuovamente il riferimento mondiale per tanti e locomotiva per la ripresa economica e sociale del nostro Paese.

2 pensieri su “Milan l’è un grand Milan

  1. silvia

    “Persone con alta formazione richiedono servizi di svago avanzati come cinema, teatri, mostre, luoghi di aggregazione, ma pure servizi alla persona di livello adeguato come asili, scuole dell’infanzia, assistenza sanitaria di prim’ordine e, possibilmente, con liste d’attesa limitate”
    Mi sembra limitante addurre questo tipo di necessità solo alle persone con alta formazione, soprattutto quando si parla di asili e sanità.
    Detto questo condivido tutto il resto e diffondo 🙂

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    1. giaimeddu Autore articolo

      Si, evidentemente non è limitato ad una sola categoria di cittadini; quel passaggio è, come dire, infelice. =)

      Quel che voglio dire, però, è che un’amministrazione pubblica può intervenire su quelle leve, non su molte altre e che in una decisione di localizzazione sono aspetti che vengono dati per scontati. Se mancano questi servizi, piuttosto che scegliere di trasferirmi da una parte, andrò da un’altra dove avrò accesso a scuole e ospedali di qualità.

      Purtroppo chi ha un basso reddito è limitato anche in queste possibilità di scelta. Per questo quelle frase è formulata in quel modo. Però mi rendo conto che se è chiaro nella mia testa, non è automatico che si capisca. Spero di aver risposto ora.

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